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L’esilio delle emozioni rinnegate

Il recente biennio 2020-2021 è stato portatore di uno scenario planetario inimmaginabile che ha messo a dura prova le possibilità di reazione e di risoluzione degli esseri umani.

L’emergenza  pandemica ha attivato e lasciato aperti dei vissuti emotivi che il mondo non credeva di poter provare ad un livello così intenso e complesso.

Molte persone si sono sorprese a vivere emozioni che ad un livello cosciente non credevano proprie: persone razionali, pragmatiche, sicure di sé o persone devianti e dissolute hanno provato angoscia, panico e smarrimento per la perdita di controllo; persone attive e propositive hanno sperimentato vissuti depressivi e di annichilimento mai conosciuti; personalità tendenzialmente inibite ed evitanti hanno sperimentato al contrario un senso di serenità e pace all’idea che l’intero pianeta vivesse il senso di ritiro che da sempre le difendeva-imprigionava, facendole sentire una parte del tutto per la prima volta in senso normato; personalità pacifiche e socievoli hanno sperimentato con paura e disagio emozioni come intolleranza, rabbia e fastidio verso il prossimo.

L’interesse per le emozioni (che noi stessi rinneghiamo) è legata al ruolo che queste hanno nella definizione di noi stessi.

La definizione di sé infatti si declina non solo attraverso appartenenza familiare, ruolo professionale e relazionale, status sociale, interessi etc., ma anche e soprattutto attraverso le emozioni che coscientemente ci concediamo di provare per continuare ad appartenere a quella identità cosciente di noi appresa, ereditata e costruita nel corso della vita.

E’ palpabile l’orrore di una madre nello scoprire di provare fastidio e rabbia verso i propri figli tanto amati e quanto lotti con se stessa una persona socievole, solare e altruista nel provare odio e invidia verso il prossimo, o quanto possano sembrare aliene e spaventose l’empatia e la compassione in strutture di personalità tendenzialmente competitive ed arriviste.

Per evitare di doversi confrontare con questi vissuti e per difendere il proprio livello coerente di identità, l’individuo esilia dalla propria coscienza parti di sé legate ad immagini ed emozioni inaccettabili e indicibili.

Importanza delle emozioni nella Psicologia

Agli albori della psicologia, l’emozione venne considerata solo come risposta al trauma: già Freud e Breuer in “Studi sull’Isteria” (1885) si interessarono ai vissuti emotivi attraverso l’osservazione di pazienti isteriche che rimuovevano ricordi emotivamente impattanti.

Secondo Freud l’emozione intensa, rifiutata e rimossa, provocava un sintomo isterico che poteva essere eliminato attraverso il recupero e l’espressione della stessa emozione (Ibidem).

L’importanza della emozione veniva quindi, relegata a reazione al trauma o solo come mera risposta ad un evento interno o esterno, in base ad un rapporto semplicistico di causa-effetto con uno stimolo (James, 1884).

Le emozioni venivano ridotte a stati disturbanti di una quiete statica, legate a cambiamenti fisiologici e comportamentali (Srufe, 1995; Cavalli, 2010).

La pienezza delle emozioni inizia ad essere compresa dalla psicoanalisi contemporanea attraverso concetti di regolazione affettiva (Hill, 2015 e Schore, 2003), sintonizzazione affettiva (Stern, 1985), e dai moderni approcci cognitivisti di auto ed etero-regolazione emotiva (Bucci, 1985; 1997) che sottolineano la capacità comunicativa e relazionale delle emozioni.

In particolare, la sintonizzazione affettiva di Stern (1985) spiega la dinamicità evolutiva delle emozioni, osservando come due individui possano creare una reciproca sintonia in cui lo stato affettivo del primo promuove nel secondo uno stato analogo, come osservabile nella relazione madre-figlio: quando il bimbo, attraverso vocalizzi, esprime serenità induce nella madre le stesse vocalizzazioni così da perpetuare uno stato di benessere in entrambi (Ibidem).

Analogamente, se all’inquietudine del figlio la madre reagisce con eccessiva ansia, entrando cioè in uno stato affettivo disregolato, il piccolo si spaventerà ulteriormente attivando un circolo vizioso di stati emotivi basati sulla disorganizzazione e sull’iperattività motoria di entrambi (Hill, 2015).

Questi nuovi approcci sottolineano quindi, come lo stato emotivo di un soggetto attivi dei meccanismi impliciti di cambiamento prima all’interno dello stesso ed in seguito (in senso comunicativo  e modulativo) anche nell’altro con cui è in relazione (Bucci, 1985; 1997).

In particolare, lo stato emotivo del figlio influenza quello della madre e la sua risposta comportamentale e vice versa: il pianto del bimbo allerta la madre che si attiverà per calmare l’agitazione del bimbo, che una volta tranquillizzato indurrà un senso di quiete anche nella madre.

Così (Stern, 1985).

Le emozioni, quindi, non sono solo una risposta dell’uomo ad un evento perturbante, ma sono legate ad un complesso processo di auto ed etero regolazione finalizzate a mantenere o ricreare un equilibrio o coerenza interna per stabilità del sistema – uomo (Tinti, 1998; Sander, 2002).

Le emozioni assumono dunque un ruolo di centralità: come risposta adattativa auto ed etero regolata che l’uomo attiva difronte a cambiamenti per tentare di mantenere il proprio stato di coerenza e di integrità interna.

Alla luce di questa ritrovata centralità delle emozioni appare sempre più importante essere consapevoli dei diversi vissuti che albergano in ognuno di noi, affinché si possa affrontare ‘il rischio’ di avere una maggiore familiarità con i propri e altrui lati ‘oscuri’ ed esiliati.

Le emozioni del Male e del Bene

La difficoltà umana di poter accettare e integrare dentro di sé la complessa gamma di emozioni nasce anche da aspetti antropologici  – storico – culturali che hanno comprensibilmente influenzato i significati impliciti ad essa legati: emozioni “negative” vengono associate a personalità cattive e malevole, al contrario emozioni “positive” sembrano indicare personalità benvolute nel contesto sociale.

Nelle società arcaiche le prime rappresentazioni antropomorfizzate delle emozioni benevole e malevole erano impersonificate dalle molteplici divinità che erano rispettate e venerate in egual misura.

Nel panteon delle antiche civiltà la rappresentazione divina del Male e quindi delle sue declinazioni emotive umane, era raffigurata e venerata con la stessa onorificenza riservata alle divinità benevole.

Divinità raffiguranti emozioni e vissuti legati alla guerra, alla distruzione, all‘odio, all’ira e l’invidia, erano grandemente adorate sia nel panteon egizio (in Seth), greco-romano (in Ares – Marte o in Ade- Plutone), come in quello induista (Kalì e Shiva), e nella tradizione persiana (Arimane, dio malvagio e creatore al contempo).

In queste religioni le emozioni aggressive e distruttive trovavano posto accanto alle emozioni benevole e tutte erano e sono ancora considerate indispensabili per l’ordine cosmico.

Nella religione induista la divina Trimurti (tre aspetti e tre forme del divino) di Brama il Creatore, non può prescindere dalle sue altre due manifestazioni, Visnu il conservatore e Shiva il distruttore affinché la creazione possa rigenerare dopo la distruzione.

Così come le divinità, anche gli uomini sono caratterizzati da questa complessità emotiva, in un equilibrio circolare in cui nessun aspetto può essere evitato.

Con l’avvento delle culture monoteiste e patriarcali, la dicotomia tra emozioni benevole e malevole si è fatta più netta e scissa. Molte delle emozioni aggressive e rabbiose vengono giudicate malevole ed esiliate dalle principali religioni monoteiste, che le annoverano tra i peccati capitali o collegate al Male Supremo.

Le divinità malevole e le emozioni umane che su queste si proiettano, diventano così reiette, indicibili, perseguibili e punibili, attivando rifiuto e sensi di colpa in chi le percepisce.

Legare emozioni difficili (orgoglio, odio, disobbedienza, invidia, gelosia etc.), al senso del peccato ha condotto l’uomo ad allontanarle staccandole dalla propria coscienza (scindendoli da sé) e proiettandoli su divinità antagoniste malevole e costruendo valori e tabù sociali che biasimano e criticano tali dimensioni emotive.

La rappresentazione divina del Male, ha quindi la funzione, di liberare l’uomo dai sensi di colpa per le emozioni provate,  così come gli aspetti buoni e compassionevoli del padre vanno a formare l’immagine di Dio (Freud, 1922)

Anche la logica controllata e razionale del Positivismo ottocentesco ha indotto ad esiliare ulteriormente l’emozioni come antagoniste della razionalità, portando l’uomo a volere edulcorare e camuffare, ai propri occhi e a quelli della società, la forza emotiva di questi vissuti.

Uomini e donne hanno imparato così a sublimare ed adattare al contesto culturale le proprie emozioni intense: l’odio e il livore sono diventati sana competitività e l’invidia distruttiva, diventa una freddezza lucida e calcolata del rischio per raggiungere il traguardo.

La difficile gestione di tali emozioni e del significato implicito che le sottende, ha portato l’uomo a tentare di difendersene, perché rischiose e pericolose per la propria incolumità e per quella della specie.

La loro demonizzazione è un tentativo di “mondare” lo spirito umano dalle proprie caratteristiche terrene cercando idealisticamente e onnipotentemente la riunificazione con “il tutto divino”, evitando l’esperienze emotive che ricordino l’unicità della imperfezione umana.

In senso paradossale, questo tentativo difensivo conduce l’uomo ad allontanarsi proprio dal raggiungimento tanto agognato del senso di appartenenza e di pienezza unitaria tanto desiderata dall’uomo, perché impedisce la piena accettazione amorevole di sé come unici ed irripetibili nelle proprie imperfezioni e finitezze.

Il rifiuto individuale e sociale di emozioni pesanti crea profonda sofferenza nell’uomo e non permettere di riconoscere come patrimonio universale e antropologico il complesso e variegato corollario emotivo umano.

Emozioni rinnegate e sofferenza

La paura di provare alcune emozioni reiette è alla base di molti stati di sofferenza psichici e somatici.

In particolare: permettendosi di provare emozioni negative o rinnegate si può accede anche al significato e alla comprensione dolorosa che le ha causate e si teme che questo possa far perdere il controllo razionale di sè, fino ad arrivare a mettere in atto in modo impulsivo le emozioni incontrollate.

L’impossibilità di accettarsi come creatori e modulatori dei propri stati emozionali porta l’uomo ad ‘automutilazioni psichiche’ violente e devastanti (scissioni) dei propri vissuti.

E’ un compito impegnativo provare ad integrare al proprio interno le cangianti espressioni emotive, e spesso la persona si identifica e si riconosce con una sola delle polarità emotive, scindendo e proiettando la parte rifiutata all’esterno.

In virtù dei valori socio-culturali vigenti, la persona difficilmente riesce ad ammettere di provare sentimenti di odio, invidia, gelosia, rabbia, negandoli sul aspetto sociale (considerati politicamente scorretti), per timore che possano essere riconosciuti e mal giudicati dall’esterno o ancor peggio di non saperli gestire e contenere in uno spazio psichico e che sfuggendo al controllo possano trasformarsi in azione.

In questa ottica le sintomatologie (le fobie, i disturbi d’ansia, somatizzazioni, etc.), sembrano tentativi di evitare l’integrazione di sentimenti negativi rinnegati.

Come accennato in precedenza, le emozioni rinnegate possono essere rappresentate anche da aspetti benevoli.

In particolare, in subculture devianti pur di aderire a modelli socio-familiari negativi o per l’impossibilità di liberarsi da tali vissuti pesanti, ci si può identificare in modo estremizzato con emozioni nella deriva “negativa”, tanto da identificarsi principalmente in emozioni e condotte devianti e scorrette (aspetti distruttivi, abuso di sostanze, comportamenti a rischio), con lo scopo fintamente salvifico di poter dominare emotività distruttive, identificandosi con queste.

Sia nella adesione totali ai tabù morali – sociali – religiosi, che nel tentativo dimostrativo di dissacrare questi divieti attraverso comportamenti di devianti e socialmente scorretti, appare evidente la difficoltà di integrare nel proprio corredo emotivo vissuti cangianti e multiformi.

La principale minaccia che l’uomo teme rispetto alle emozioni esiliate, riguarda la paura di perdere il controllo di sé, di venir sommerso da  una potenza dirompente capace di devastare tutto quello che faticosamente ha creato (coerenza di sé, relazioni, senso di appartenza, etc.) ponendolo davanti al baratro della perdita di senso e dello scompenso più profondo.

E’ importante considerare come alcune emozioni vengano esiliate culturalmente e socialmente anche in base alla diversità di genere.

E’ pensiero diffuso considerare adeguato e positivamente riconosciuto un corollario emotivo più aggressivo, intraprendente, impavido e competitivo nel genere maschile.

Al contrario vengono sponsorizzate emozioni di accoglienza, amorevolezza (soprattutto materna),  timidezza e fragilità emotiva nelle donne.

Ogni cultura, modificandosi nel corso delle diverse epoche, ha cambiato il senso sociale attribuito ad alcune emozioni: la rivoluzione culturale del ’68, ha sostenuto nelle giovani donne l’espressione di emozioni legate all’autoaffermazione femminista aggressiva, esibizionista e volitiva, imposta da una società contemporanea più competitiva e androgina.

Anche nell’attuale epoca Covid-19 si chiede più o meno implicitamente di evitare di provare e tanto meno di esprimere, sentimenti penosi, di dolore, terrore, angoscia, per dimostrare di essere padroni capaci e controllanti dal punto di vista razionale.

Ad oggi le emozioni da rinnegare socialmente e individualmente sono legate all’ansia, alla depressione e all’annichilimento perché considerate segnali di debolezza da disapprovare, emozioni negative che portano anche l’Altro che ne entra in contatto a confrontarsi con l’ineluttabilità di un evento traumatico mondiale.

Integrare queste emozioni nella propria psiche tanto da poterle esprimere e comunicare, significa rischiare di affrontare il se stesso terrorizzato che non riesce a convincersi che basti ripetere “andrà tutto bene” per renderlo reale.

Scoprire la potenza dell’ambivalenza della gamma emotiva umana è il primo passo per l’integrazione consapevole di sè.

Essere Genitori delle proprie emozioni

Da anni i disagi psicologici e relazionali sono stati correlati alla difficoltà di gestione delle emozioni, e ciò sottolinea l’importanza di lavorare sui vissuti emotivi già nella primissima infanzia, cercando così di arginare difficoltà in età adulta.

Per questo i programmi ministeriali scolastici hanno iniziato a strutturare porgetti di educazione emozionale per rendere gli studenti capaci di riconoscere, sperimentare e integrare le variegate emozioni proprie ed altrui già nell’infanzia.

Il bimbo non è più essere angelicato (Rousseau, 1762)  o tabula rasa (Locke, 1656), né di contro, un perverso polimorfo (Freud, 1905), ma un essere umano complesso che conserva in se stesso tutta la gamma delle emozioni umane in continuo mutamento e regolazione. Ogni individuo possiede infatti la cangiante varietà emotiva, che si declina in modalità e misure uniche e irripetibili.

Appare quindi necessario che la persona fin da piccola sia aiutata ad identificare al proprio interno la legittimità delle proprie emozioni divenendo genitore accogliente e responsabile dei propri vissuti.

Studi di psicologia sociale evidenziano come in età prescolare e scolare, l’incremento delle capacità di riconoscimento delle proprie emozioni, sia correlato ad un migliore capacità di relazionarsi con gli altri, e di consapevolezza e regolazione di sé (Denham, Kochanoff, Caverly, 2002).

Aiutare la persona a riconoscere gli stati emotivi (benevoli o malevoli) anche sul proprio livello corporeo, rende la persona più sicura e consapevole di sé, evitando manifestazioni sintomatiche che spesso non vengono associate e vengono scollegate allo stato emotivo (Taylor, Bagby, 2004).

Anche la presentazione degli eroi moderni dei film e cartoons sembra considerare la necessità di sviluppare una cultura emozionale.

I nuovi protagonisti e gli eroi più amati appaiono sempre più complessi, e tormentati; non più puri e angelici difensori del bene, ma capaci di mostrare lati più umani, ambivalenti, alle volte conflittuali, oscuri e sicuramente complessi.

Le nuove generazioni sono tendenzialmente attratte dal nuovo eroe che non appare più ‘il cavaliere senza macchia e senza paura’ (Gramegna, 1524) da emulare ed irraggiungibile nella propria riduttiva illusione di perfezione e imperturbabilità.

I nuovi modelli di eroi sono controversi, fallaci, imperfetti, che mostrano lati complessi delle proprie emozioni, ma che riescono a crescere soprattutto attraverso l’accettazione della propria natura complessa e cangiante anche delle proprie emozioni reiette.

Questo permette allo spettatore di potersi identificare e viversi in prima persona come individui positivi nonostante le proprie complessità e ambivalenze emotive.

E’ importante sottolineare che provare una emozione e formulare un pensiero, non implichi l’automatismo di riprodurli nel mondo reale. Provare una emozione ‘negativa’ non rende malevola la persona che la prova.

In particolare, le emozioni possono essere lavorate nello spazio psichico già nell’infanzia: il bambino con l’aiuto della mente madre adulta (genitoriale e/o psicanalitica), può essere aiutato a “maneggiare le emozioni non pensabili, non pronunciabili” (Cavalli, 2010), fino a contenere e tradurre in narrazione cosciente motoria e creativa (Ferro, 2007).

Il bambino che può vivere questa esperienza di espressione di sé, sarà in grado di poter diventare per se stesso mente genitoriale in grado di riconoscere, accogliere e significare le proprie emozioni.

La creazione di uno spazio mentale di contenimento delle emozioni (prima nella madre/adulto e poi nel bambino) infatti, libera la persona dal timore distruttivo di passare all’atto agito ed evita nel contempo la difesa della razionalizzazione che porterebbe ad esiliare con processi logici ed empirici le emozioni reiette.

Conclusioni

Nel terrore di trovarsi solo davanti a emozioni non socialmente comunicabili, l’uomo inventa strategie sintomatiche per esprimerle, sublimarle, negarle, evitarle e soprattutto alienarle da sé.

La costruzione interna di una mente adulta genitoriale rende possibile accedere alla parte oscura di se stessi attraverso la contemplazione, sperimentazione e significazione interna e non agita, della propria vasta gamma emotiva.

La mente genitoriale di ogni individuo consente di creare quindi, uno spazio sicuro di accoglienza e di crescita emotiva in continuo divenire nell’arco della vita.

Ogni emozione infatti, è l’espressione complessa di un significato che si sta costruendo dentro l’essere umano che richiede di essere compreso e accolto e non recluso e negato.

La mente genitoriale, attraverso la costruzione di nuovi significati e rielaborazioni di contenuti psichici – emotivi, può contenere ed integrare in una circolarità perpetua le emozioni benevole e malevole, utili e necessarie le une alle altre.

In conclusione: il riconoscimento e l’accettazione delle emozioni esiliate, seppur passaggi sofferti e difficili (perché minano la stabilità e le certezze dello status quo cosciente), sono necessari per avvicinarsi al benessere psichico della persona, attraverso l’accettazione amorevole della propria complessità umana imperfetta e per questo unica ed irripetibile.

Silvia Maugeri

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