Disturbo antisociale di personalità

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L’antisociale, anche detto psicopatico o sociopatico, è irresponsabile in tutte le sue relazioni e non ha rispetto per i sentimenti o le preoccupazioni altrui. Il quadro è quello dell’inosservanza e della violazione dei diritti degli altri. Il disturbo si manifesta fin dall’età dei 15 anni e si associa a sintomi del disturbo della condotta (comportamenti che violano i diritti degli altri, le norme o regole sociali appropriate per l’età).

La persona con tale disturbo non sa conformarsi alle norme sociali, perciò truffa e sfrutta gli altri per profitto o per piacere personale. Chi è affetto dal disturbo antisociale di personalità comprende i pensieri, le emozioni e le sensazioni fisiche propri e altrui, ma ha difficoltà ad assumere la prospettiva degli altri a sintonizzarsi emotivamente con loro.

L’impulsività o l’incapacità di pianificare, insieme con l’irritabilità e l’aggressività, l’inosservanza della sicurezza propria e altrui completano il quadro. La mancanza di rimorso per le conseguenze delle proprie azioni può manifestarsi con l’indifferenza e il minimizzare i danni arrecati. Generalmente queste persone sono incapaci di scusarsi o di riparare al loro comportamento.

La predisposizione genetica insieme con un ambiente familiare problematico, trascurante e abusante, sembrano essere alla base di tale disturbo. La probabilità di sviluppare il disturbo antisociale di personalità nella vita adulta aumenta se l’esordio del disturbo della condotta è precoce (prima dei 10 anni) e se questo è accompagnato dal disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività. Il disturbo antisociale sembra essere associato anche a uno stato socio-economico basso e agli ambienti urbani disagiati.

Le persone con tale disturbo accedono in genere ai trattamenti psichiatrici a seguito di problemi con la legge. Aderire a progetti terapeutici o riabilitativi permette infatti di migliorare la loro posizione legale.

Il trattamento più efficace per il disturbo antisociale di personalità è il ricovero in strutture specializzate, all’interno degli istituti penitenziari e in particolari comunità. In questi contesti è possibile operare diversi trattamenti (farmacoterapia e psicoterapia) in quanto il regolamento della struttura e la formazione degli operatori impediscono ai pazienti il ricorso all’acting-out (passaggio impulsivo all’azione, senza riflessione) e alla manipolazione dello staff. Il contesto ospedaliero obbliga la persona al contatto con le sue emozioni, in particolare con l’ansia e il senso di vuoto e la psicoterapia può favorire la tolleranza delle stesse, senza il ricorso all’uso di sostanze o all’acting out.

L’intervento psicoterapeutico può inoltre permettere alla persona di raggiungere la consapevolezza delle conseguenze del proprio comportamento, l’incremento dell’autostima, l’assunzione delle proprie responsabilità e l’adattamento all’ambiente. L’intervento familiare può aiutare i congiunti dei pazienti a rispondere adeguatamente al loro comportamento antisociale, ad esempio a evitare di ignorarlo, minimizzarlo o coprirlo.

I risultati raggiunti durante i ricoveri possono non permanere una volta che il paziente rientra nel suo ambiente di vita. Le prognosi più favorevoli le hanno i soggetti che sperimentano ansia e depressione e che comprendono l’utilità di modificare i loro comportamenti illegali e immorali.


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